Queste settimane di pandemia sono complesse, e non solo da un punto di vista sanitario. La necessità di arginare la diffusione esponenziale del virus SARS-CoV-2 ha portato alla sospensione o alla limitazione di alcuni diritti fondamentali alla base della società occidentale. Uno su tutti, e il primo ad essere stato messo in discussione, è il diritto alla privacy – sacrificato per una non meglio specificata garanzia di successo nella diminuzione del contagio (almeno in Italia). Il secondo è il diritto di accesso alle informazioni, diritto che si ricollega inevitabilmente alla poco rassicurante situazione della libertà dei media nel mondo.
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Come scrive Antonello Soro, Garante per la protezione dei dati personali italiano, è importante collegare le limitazioni che stiamo vivendo alla sospensione di precisi diritti sanciti a livello internazionale e che hanno retto finora la nostra società. Se da una parte è giusto, ad esempio, rimanere a casa per evitare la diffusione del virus, è anche fondamentale non dimenticarsi che l’obbligo di giustificare ogni nostro spostamento, la necessità di essere videoregistrati per seguire lezioni online o fare riunioni di lavoro, l’aumento della condivisione di contenuti sui social significa (a diversi gradi) perdere una parte non indifferente della nostra privacy. Ma lo scudo che i due diritti citati offrono è percepito in maniera meno tangibile rispetto ad altri: entrambi garantiscono una libertà che si riconoscerà e apprezzerà nel medio-lungo periodo e la cui violazione non è così palese.
Nello scenario odierno, critico dal punto di vista sanitario e non solo, il diritto di accesso all’informazione tramite FOIA viene meno in sempre più paesi del mondo. Numerosi leader mondiali prendono infatti la palla al balzo per limitare e aggredire i media e la libertà di stampa, se non per instaurare proprio una dittatura.
Il diritto di accesso in Italia
In Italia, il decreto legge Cura Italia del 17 marzo 2020 specifica chiaramente come l’accesso alle informazioni in ambito fiscale e tributario sia sospeso fino al 31 maggio 2020. Il Dipartimento della Funzione Pubblica, in un comunicato del 27 marzo 2020, parla invece della sospensione dei “procedimenti amministrativi che non hanno caratteristiche di “indifferibilità e urgenza” fino al 15 aprile. Ovviamente anche le istanze di accesso sono procedimenti amministrativi e quindi osserveranno la stessa sospensione. Informazioni confuse, contrastanti e che riducono il diritto di accesso alle informazioni ad un mero processo burocratico che – in un frangente come questo – dev’essere secondo il governo necessariamente snellito.
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Se da una parte alleggerire la macchina della pubblica amministrazione è una necessità – chiariamolo, non di questi tempi e basta – dall’altra è impensabile sospendere un diritto fondamentale per i cittadini come per gli organi di informazione. E su questo punto sono direttamente coinvolti anche alcuni giornalisti che in tempi di Coronavirus cercano di coprire notizie il più precise possibili. Dati, numeri e informazioni creati e prodotti – sempre secondo quel processo burocratico di cui si parlava prima – che dovrebbero essere forniti dalle pubbliche amministrazioni proprio per aumentarne la diffusione e favorire un’informazione corretta e verificata.
Fra ieri e oggi ho fatto tre richieste FOIA formali a @DPCgov @RegLombardia e istituto superiore di sanità per avere i dati a livello comunale in formato aperto. 1/2
— davide j. mancino (@davidemancino1) March 20, 2020
Quello sottolineato dal giornalista Davide Mancino (Sole24Ore) è un muro sul quale stanno sbattendo in molti: perché non tutti i comuni italiani forniscono i dati relativi alla pandemia? Sempre riprendendo il giornalista, a questa domanda il Dipartimento di Protezione Civile risponde – al telefono – che i dati arrivano “più a livello provinciale”. La narrazione degli avvenimenti è di fatto in mano alla sola Regione Lombardia e chiunque altro si avventuri in questo marasma deve tenere conto che sarà difficile, a meno che non sia competente come il giornalista bergamasco Isaia Invernizzi. Quest’ultimo, dalle pagine de L’Eco di Bergamo, ricostruisce con numeri e informazioni fornite dai comuni della bergamasca la reale e terribile situazione dell’emergenza. In queste settimane sarà cruciale vedere come enti di diversa grandezza e importanza risponderanno alle istanze di accesso, se queste saranno trattate, in che modo, in quali tempi e se verranno assicurate quelle relative a dati o informazioni utili a spiegare l’emergenza.
3. Memo: oggi ho inoltrato richiesta FOIA all’ufficio del Ministro per l’Innovazione @PaolaPisano_Min chiedendo di ottenere tutte le 823 proposte ricevute per la “fast call” #InnovaItalia, chiusa ieri pic.twitter.com/aUOOfK1Gkx
— Raffaele Angius (@faffa42) March 27, 2020
La situazione nel resto del mondo
In Messico l’istituto nazionale (INAI) che si occupa di accesso alle informazioni e protezione dei dati personali ha previsto una sospensione simile a quella italiana, che si protrarrà almeno fino al 17 aprile 2020. Simile sorte anche per la pubblicazione proattiva di informazioni da parte dell’ente. Quest’ultimo ha però attivato una piattaforma informatica per consentire la richiesta – da parte dei cittadini e non solo – di informazioni legate all’emergenza coronavirus, che verranno fornite in tempo più breve rispetto ai giorni di attesa canonici (15- 20 giorni).
In alcuni paesi la situazione è invece molto critica. Attraverso una medida provisòria, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha sollevato i funzionari pubblici dal rispondere alle richieste di informazioni (FOIA) che necessitano la presenza in ufficio durante l’emergenza Covid-19; e sospeso il diritto di accesso per un anno. Più di sessanta organizzazioni attive nel campo della trasparenza e dell’accountability hanno risposto con un comunicato congiunto per opporsi allo scivoloso cambio di passo in un paese già così esposto a violazioni. Al momento la Corte Suprema ha sospeso la medida.
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Dalla Nuova Zelanda un approccio completamente opposto, e uno dei più positivi in merito: il ministro della giustizia ha dichiarato che l’accesso ai documenti ufficiali deve rimanere una priorità per i cittadini anche in un momento emergenziale come questo. L’ombudsman neozelandese – traducibile in italiano come difensore civico – è infatti intervenuto affermando come la veicolazione di informazioni soprattutto sulla salute e la sicurezza pubblica sia una delle priorità. Di contro la Romania allunga i tempi di risposta delle amministrazioni, che vanno da trenta a sessanta giorni, ma prevede anche una stretta sull’informazione: il decreto di urgenza firmato dal presidente Iohannis riporta anche la volontà di agire contro fake news o contenuti manipolati. Le notizie definite “false” potranno essere rimosse dai siti web dei giornali o degli organi di informazione.
Oltreoceano, negli Stati Uniti, FBI ha annunciato la sospensione dell’accesso a documentazione ufficiale tramite il portale informatico eFOIPA, costringendo i cittadini all’utilizzo di un modulo cartaceo da inoltrare via posta ordinaria. La motivazione è dovuta anche qui dall’emergenza in corso, ma è da sottolineare come l’agenzia federale sia spesso prona a limitare o sospendere il FOIA. Anche se secondo il regolamento federale sul tema, tutti i dipartimenti di stato e le agenzie governative dovrebbero garantire la ricezione di richieste in formato elettronico. Attraverso la piattaforma Muckrock, Emma Best – giornalista nota per l’utilizzo dello strumento FOIA – ha inoltrato una dozzina di richieste di accesso a numerose agenzie proprio per monitorarne l’andamento. Il FOIA stress test al momento ha prodotto solo poche risposte. Limitazioni simili anche in Australia, Canada, Hong Kong, Inghilterra.
In un momento di emergenza la trasparenza e la libertà di stampa contano ancora di più
Per la maggior parte delle persone colpite dalla pandemia l’obiettivo principale è mantenere sè stessi, le famiglie e le comunità al sicuro. Tuttavia, è indispensabile anche rimanere vigili contro le minacce alle libertà e alla giustizia specifiche proprio di tempi straordinari come questi. Restrizioni come quelle consentite ed elencate poco sopra per motivi di salute e sicurezza pubblica non possono mettere a repentaglio il diritto stesso di accesso alle informazioni. I governi sono responsabili infatti di fornire le informazioni necessarie per la protezione e la promozione dei diritti, incluso il diritto alla salute.
Una risposta a Covid-19 che sia rispettosa dei diritti deve garantire che informazioni accurate e aggiornate sul virus, l’accesso e l’interruzione di determinati servizi, e altri aspetti della risposta all’epidemia siano prontamente disponibili e accessibili a tutti. E non dimentichiamo che i dati sanitari sono particolarmente sensibili, e la pubblicazione di informazioni online può comportare un rischio significativo per le persone colpite e in particolare le persone che si trovano già in posizioni di vulnerabilità o emarginazione nella società. Su questo si è espresso il Garante privacy. La salute umana dipende non solo da un’assistenza sanitaria facilmente accessibile, ma anche dall’accesso a informazioni accurate sulla natura delle minacce e sui mezzi per proteggerci.
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“COVID-19 e la sfida per il fact-checking”, di Asma Abidi
Articolo apparso originariamente sul sito dell’autrice e viene qui ripubblicato per gentile concessione. Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autrice e non rispecchiano necessariamente quelle di tutto l’EJO.
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