Crowdfunding, anche per i reportage di guerra

19 Dicembre 2013 • Digitale • by

I giornalisti e le testate che si rivolgono al crowdfunding sono sempre di più e i casi di questo tipo sempre più numerosi. In Italia, ci ha provato Il Giornale con il progetto “Gli occhi della guerra” rivolto al giornalismo di guerra. Il quotidiano ha lanciato due proposte ai suoi lettori, chiedendo un contributo economico per la loro realizzazione. In una settimana il primo reportage, dedicato all’Afghanistan, ha raggiunto la somma richiesta, mentre il secondo, sulla Libia, al momento ha raccolto l’80% dell’importo necessario.

L’iniziativa offre diversi spunti di interesse, pur al netto di alcuni limiti ancora da superare. E rappresenta un caso di successo. Andrea Pontini, ad di IlGiornale.it, cui abbiamo posto qualche domanda sul progetto, non nasconde l’ambizione di voler replicare l’esperienza anche in futuro, aprendo la piattaforma anche a reporter freelance o di altre testate.

L’idea di testare il crowdfunding nasce dai reporter o è un’idea più editoriale?
“Volevamo arrivare a lettori di un’altra area di pubblico piu vicina alla sensibilità della Rete che, da questo punto di vista, è sicuramente più smart di quella che abitualmente legge il nostro giornale. Inoltre, gli esteri trovano poco spazio nell’editoria italiana e poche risorse vengono girate alla ricerca di informazioni dirette sul campo. Questo si riduce a un impoverimento dell’informazione, che viene fatta restando davanti a uno schermo e prendendo per oro colato quello che dicono le agenzie. Esperienze recenti dimostrano che quanto fatto sul campo, spesso, mostra tutta un’altra verità. Abbiamo chiesto ai lettori non di comprare la verità, ma un pezzetto di realtà con la promessa di raccontare le cose per come davvero le avremmo viste. Volevamo, prima di tutto, vedere se i lettori avrebbero risposto per smentire l’assunto per il quale gli esteri non fanno vendere i giornali. E vedere se chi ci legge fosse disposto a sostenere qualche proposta mirata”.

Come è stata accolta l’iniziativa da parte degli altri giornalisti?
“Ho scoperto che il mondo dei reporter è una famiglia molto stretta nella famiglia più ampia del giornalismo. Reporter di altre testate ci hanno scritto e hanno contribuito con delle donazioni. Anche Toni Capuozzo, che spero di coinvolgere in futuro, si è prestato gratuitamente come testimonial dell’iniziativa. Alcuni ci hanno chiesto se siamo aperti ad altri reporter e la risposta è sì: vaglieremo proposte di giornalisti e fotoreporter. Spero che la cosa possa diventare una parte importante delle attività della nostra azienda”.

Perché non vi siete rivolti a una piattaforma esterna come Kickstarter o Indiegogo ma al contrario avete preferito crearne una ad hoc?
“I lettori de Il Giornale e il pubblico italiano non penso siano molto avvezzi a queste tecnologie, quindi abbiamo preferito muoverci in questo modo. Nulla ci vieta di utilizzare in futuro piattaforme internazionali. Le caratteristiche del progetto in questa fase ci sembravano maggiormente adatte a un altro tipo di piattaforma. Abbiamo però grosse ambizioni: alcuni reportage potranno essere fatti in lingua inglese e in quel caso cambierebbe tutto lo scenario. In prima battuta volevamo fare una cosa che anche i lettori potessero percepire come loro”.

Come sono andate le donazioni?
“Non ci è stato un grandissimo bacino di donatori e le somme versate dai singoli non sono state enormi. La prima campagna ha raggiunto qualche decina di persone. La seconda ha già dei numeri più alti in termini di adesioni. Sul sito del progetto c’è una sezione dedicata alla trasparenza in cui mostreremo i dettagli dei costi. Ora faremo un’attività di relazione con i primi aderenti, andando a chiedere loro quali sono le aree di cui vorrebbero leggere per non dare dei titoli prestabiliti tra cui scegliere. Questi primi hanno fatto un gesto di totale fiducia, mossi probabilmente dalla stima per la testata e dall’interesse per questi temi. Ci piacerebbe, in futuro, coinvolgere i lettori anche nella fase di ideazione che in questo primo esperimento è stata svolta tra noi, Fausto Biloslavo e Gian Micalessin”.

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