Mentre la Brexit è stata esaustivamente discussa da molteplici prospettive, il ruolo ricoperto dalla stampa inglese, e in particolare dai tabloid, nell’inquadrare il dibattito durante la corsa al referendum e dopo, richiede ancora un’analisi più accurata. Non si esagera mai abbastanza nel considerare l’abilità dei media di impostare il dibattito pubblico programmando le notizie: se è un bene quando “il quarto potere” esercita la propria funzione di guardiano della democrazia all’interno di una sfera pubblica eterogenea, la forza dei media può egualmente servire le logiche commerciali o le tendenze politiche e ideologiche di un giornale. Le notizie non vengono semplicemente distribuite dai media, possono anche essere raccontate attraverso le lenti ideologiche di una testata.
Una lunga tradizione di visioni euroscettiche ed eurofobiche
Ben pochi esempi del ruolo strumentale della stampa nel formare le opinioni del pubblico potrebbero essere più rilevanti di come i tabloid inglesi hanno storicamente trattato la relazione Eu-Uk e, più recentemente, la Brexit. La stampa scandalistica inglese vanta infatti una lunga tradizione di posizioni editoriali che vanno dall’euroscetticismo alla pura eurofobia, ma anche la promozione di varie “crociate” circa diversi euro-miti e titoli come quello del Sun “Up your, Delors” (Ficcatelo nel c., Delors) del 1990. Soprattutto i tabloid sono responsabili della trivializzazione (alcuni direbbero “tabloidizzazione”) della politica europea, un processo che senz’ombra di dubbio ha contribuito a far considerare la stampa scritta inglese come la meno affidabile d’Europa.
Per anni, testate come Daily Mail, Sun, e Daily Express sono state particolarmente attive nel dipingere il Regno Unito come la vittima di una cospirazione “cosmopolita” ordita da Bruxelles, che, stando ad alcuni titoli, avrebbe costretto il Parlamento britannico a mettere al bando le teiere e le lampadine tradizionali o le donne inglesi a restituire i loro vecchi sex toy per conformarsi alle norme Ee (per un elenco completo basta consultare l’“Index of Euromyths 1992 to 2017” della Commissione Europea).
Siccome la maggior parte dei tabloid avevano iniziato a trattare la campagna del referendum per la Brexit in qualità di strenui difensori del fronte “Leave” (con le sole eccezioni del laburista Daily Mirror e del Sunday Mail, che aveva optato per una presa di posizione opposta alla sua versione giornaliera, e del Daily Star, politicamente disimpegnato), questi giornali potevano quindi contare su un consolidato “innesco” dei loro lettori, presso i quali la Brexit era già stata efficacemente di pre-legittimata ancora prima che il referendum venisse effettivamente convocato.
Un rafforzamento dei discorsi populisti
Come sostengo in uno studio che ho recentemente presentato a un evento pubblico alla Lse di Londra dedicato al populismo, ciò che abbiamo potuto osservare durante la campagna per il referendum è stato, di fatto, un consolidamento dei discorsi populisti. Uso il termine “populista” (normalmente molto discusso tra gli accademici) nel suo significato più basico, riferito al concetto di “popolo”: certamente, nella maggior parte dei discorsi politici, il termine “popolo” tende a essere impiegato invariabilmente in maniera retorica e semanticamente vaga, ma ciò che distingue un discorso prettamente populista da uno democratico è che il primo tende a ritrarre il popolo in opposizione a nemici immaginati ed è condotto tipicamente in termini di esclusione piuttosto che d’inclusione.
Il mio studio, basato su di un’analisi linguistica di come il termine “popolo” sia stato impiegato dai tabloid britannici nel corso della campagna per il referendum, suggerisce che il linguaggio dei giornali scandalistici abbia aderito alle visioni populiste che vedono il mondo in modo binario. Nel corso della campagna referendaria, i tabloid tendevano ad esempio a ritrarre il popolo inglese (talvolta definito come “ordinario” o di “gran lavoratori”) come un gruppo distinto e contrapposto ad altri gruppi di persone che, a loro volta, venivano spesso identificati come migranti (Ue) “liberi di trasferirsi” nel Regno Unito o come “élite distaccate”. La stampa scandalistica ha ulteriormente descritto queste ultime in nemici internazionali del “popolo britannico” (ad esempio l’Ue, Bruxelles nel complesso, gli Eurocrati, l’Fmi, il Presidente Obama) e nazionali (ad esempio Westminster, gli “esperti” e i “Remainers”).
Il populismo dei tabloid e la legittimazione della Brexit nella stampa inglese
Queste rappresentazioni hanno rivestito un ruolo centrale nella modalità con cui i tabloid sono riusciti a impostare il dibattito sul referendum per la Brexit attorno a tipiche dinamiche populiste. In particolare, la loro copertura ha attinto dalla politica della “perdita” e del “risentimento” verso l’immigrazione e da motivazioni di pressione sociale e legate alla condivisione di risorse, ma anche di rischio e sicurezza, che, in certi casi, sono sfociate in un esplicito moral panic xenofobo. Per esempio, il 6 giugno 2016, il Daily Express ha riportato un commento di Nigel Farage sul fatto che stupri di massa come quello avvenuto a Colonia sarebbero capitati anche nel Regno Unito a meno che la nazione non avesse votato per il “Leave”.
Allo stesso modo, in merito alla contrapposizione del popolo inglese ordinario contro le élite, nel corpus di tabloid che ho analizzato, la dinamica predominante spingeva sulla riaffermazione di un senso d’orgoglio nazionale simile al sovranismo provocatorio che ha caratterizzato il recente Euroscetticismo in molte democrazie. Dover fronteggiare il “bullismo” dell’Imf, di David Cameron e George Osborne, entrambi per il “Remain”, o i burocrati corrotti dell’EU, erano posizioni comuni, per esempio, in molti articoli del Daily Mail.
Un punto chiave che vale la pena di sottolineare è che i tabloid non hanno fatto semplicemente da piattaforme comunicative amplificando (o silenziando) i protagonisti e le argomentazioni principali della campagna per il referendum, ma, piuttosto, hanno efficacemente (de)legittimato la Brexit seguendo una logica populista e le loro priorità ideologiche. Inoltre, non si dovrebbe vedere questa spinta populista come limitata alla contingenza della campagna referendaria sull’uscita dalla Ue. Come dicevo, un’ampia sezione della stampa britannica ha ricoperto un ruolo decisivo nel fare propaganda anti-Ue sulla base di notizie false e sentimenti xenofobi. Moltissime prove suggeriscono che questa inclinazione non si sia fermata con il risultato del referendum, ma che di fatto questa spinta populista abbia incessantemente accompagnato gli articoli sulla Brexit anche nella fase post-referendum.
Appellarsi alla volontà popolare
Gli appelli alla “volontà popolare” (e la delegittimazione dei sostenitori di una Brexit meno radicale o “no Brexit” come “nemici del popolo”) sono stati a loro volta elementi decisivi nei discorsi pubblici e istituzionali. La copertura più a lungo termine di Euronews nella stampa scandalistica e l’articolazione populista del dibattito sulla Brexit hanno contribuito a legittimare quei discorsi euroscettici estremi che erano originariamente affiorati ai margini dello spettro politico britannico e che ora sembrano essere il fulcro dell’attuazione della Brexit. Senza dubbio, il termine “popolo” è stato analogamente impiegato da altri per elaborare dei contro-discorsi, ad esempio in merito alla opzione del “People’s vote” avanzata da alcune parti politiche. Al momento, questo sembra essere il punto nodale in cui sta avvenendo la lotta per il dibattito sulla Brexit.
Questo articolo è stato scritto sulla base di un paper intitolato “La tabloidizzazine della campagna per la Brexit: potere al popolo (inglese)?” presentato all’evento pubblico “Noi, il popolo: discorsi politici, mediatici e popolari su ‘noi’ e ‘loro’” tenutosi al Dipartimento di Media and Communications della London School of Economics il 26 e 27 ottobre 2018.
Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non rispecchiano necessariamente quelle di tutto l’Ejo. Articolo tradotto dall’originale inglese da Claudia Aletti
Tags:Brexit, giornalismo inglese, politica, Regno Unito