Non è una sorpresa che l’Ue si autocelebri in questi giorni in occasione dei festeggiamenti per la firma, avvenuta nel marzo di 60 anni fa, dei Trattati di Roma. Per questo anniversario, Bruxelles sperpererà prevedibilmente milioni di euro in campagne pubblicitarie.
Non fraintendetemi: se si mette da parte il proliferare della burocrazia di Bruxelles e gli sbandamenti dell’Euro, il processo di unificazione europeo è, sin dal 1957, una “success story” senza precedenti. Ciononostante, specialmente dopo la Brexit, anche nell’Europa continentale una parte sempre più consistente dell’elettorato non vuole più riconoscere questo traguardo, forse anche perché i governi, incluso quello europeo, stanno attualmente investendo troppo nella promozione della loro immagine pubblica. Agendo in questo modo i governi compromettono anche la stessa credibilità del giornalismo, il quale fatica a difendersi dal bombardamento quotidiano di comunicati stampa. Sarebbe decisamente più importante, invece, che essi contribuissero a far sì che le redazioni possano essere indipendenti e ben attrezzate nel seguire l’operato dei governi e della Ue con la dovuta distanza e competenza. E criticare, quando necessario.
Personalmente, mi è inconcepibile ad esempio come il servizio pubblico, con tutti i miliardi incassati in tutta l’Ue tramite i canoni radiotelevisivi, non sia ancora riuscito a creare dei programmi attrattivi che vengano trasmessi in diverse lingue su tutto il territorio europeo. In questo modo, non si sarebbe potuto ottenere, a lungo termine, un effetto di integrazione europea simile a quello che ha avuto la Rai (nei suoi primi anni, quindi prima di Berlusconi) in Italia? Forse, se avesse offerto programmi di questo tipo negli ultimi 50 anni anche in Russo e Turco, l’Europa libera avrebbe avuto una possibilità nel contrastare la propaganda di Erdogan e Putin, ormai diffusa su tutto il territorio europeo al fine di manipolare l’opinione pubblica.
Fino ad ora i progetti transnazionali o plurilinguisti sono stati pochi: Euronews, Eurosport, l’emittente televisiva 3sat nel contesto germanofono e il progetto Arte in quello tedesco-francofono. Gettando uno sguardo alla Svizzera, gli eurocrati avrebbero potuto imparare dall’esempio di Srg, Ssr e Rsi come modello di televisione d’integrazione plurilingue che funziona e, persino, può ottenere indici di ascolto alti.
Ci si chiede, inoltre, come mai la Digital News Initiative non sia stata organizzata dalla Ue, invece che da Google. L’iniziativa consiste in un bando europeo volto a trovare le idee e i progetti migliori per la sopravvivenza digitale del giornalismo. Con questo progetto, fino al 2018, Google distribuirà 150 milioni di euro a organizzazioni mediatiche di diverso tipo, legandole così a sé. Grazie a questo concorso, anno dopo anno, Google riuscirà inoltre a farsi, in modo astuto, una panoramica degli sviluppi all’interno del settore delle startup digitali e dei progetti giornalistici su tutto il territorio europeo.
L’Ue si è anche giocata l’opportunità di creare un motore di ricerca europeo, mentre Russia e Cina contrastano Google e Bing avendo costruito le loro infrastrutture con Yandex e Baidu. “Se in Europa ci venisse tolto l’accesso a questi motori di ricerca, non potremmo più trovare le informazioni di cui abbiamo bisogno”, ammonisce il professore di informatica Andreas Hotho di Würzburg. I motori di ricerca sono il nodo centrale che conduce a quasi tutte le informazioni contenute nel Web. I detentori del monopolio delle ricerche online a cui l’Europa si è assoggettata, potrebbero anche avere la possibilità di “nascondere informazioni o mostrare informazioni o fatti ‘sbagliati’ per determinati temi. Lo stesso vale, con tutte le sue conseguenze, anche per il lavoro dei giornalisti”, spiega Hotho.
Infine, irrita anche quanto poco l’Ue investa nelle infrastruttura giornalistiche ormai da decenni: vale a dire nella formazione dei giornalisti, proprio coloro che con le opportune nozioni potrebbero aiutare a delucidare il progetto europeo, altamente complesso, al loro rispettivo pubblico. L’Istituto universitario europeo di Firenze, ad esempio, in quanto ente dell’Ue, forma da anni l’élite di futuri esperti di diritto, economia e politica, ma non offre percorsi per giornalisti, nonostante la loro importanza nella comunicazione. Per loro vi è a disposizione l’European Journalism Center di Maastricht che, però, da anni deve lottare per la sua stessa sopravvivenza.
Se vogliamo restare fedeli al progetto dell’Europa unita, nonostante tutte queste avversità, dobbiamo assicurargli più sostegno da parte della società civile. A questo scopo potrebbe essere d’aiuto la creazione di un giornalismo “europeo”, critico e distanziato, che non si presti semplicemente come megafono dell’Ue, bensì controlli costantemente i suoi enti. Se gli eurocrati riuscissero finalmente a considerare i giornalisti come degli alleati, piuttosto che dei nemici, questo potrebbe rafforzare non solo l’Europa, ma anche la libertà di stampa e di opinione, entrambe minacciate in modo considerevole in diverse regione europee.
Una versione lievemente modificata di questo articolo è stata pubblicata dal Corriere del Ticino il 28 marzo 2017
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