Anche se l’approccio data-driven al giornalismo non è una novità, casi importanti come “The Migrant Files” (che ha vinto un Data Journalism Award nel 2014) o “MPs Expenses” dimostrano come i dati stiano marcando alcuni tra gli sviluppi più interessanti nel giornalismo. Non è un caso se un numero crescente di giornalisti e importanti testate iniziano a utilizzare sempre più diffusamente l’analisi dei dati come strumenti di investigazione giornalistica.
I journalism studies sono generalmente, e giustamente, molto attenti a esplorare l’innovazione nel loro campo e, in tempi recenti, il data journalism ha attratto molta attenzione da parte della ricerca accademica. Nel 2015, ad esempio, è stata pubblicata una special issue da Digital Journalism e un’altra, invece, vedrà la luce nel 2016, realizzata da Journalism. Diversi paper accademici hanno già affrontato il giornalismo dei dati negli ultimi anni: tra questi, uno dei contributi più recenti si intitola Educational strategies in data journalism: A comparative study of six European countries. La ricerca, pubblicata proprio da Journalism, ha affrontato il tema dell’insegnamento del giornalismo dei dati in Europa ed è stata condotta da 6 ricercatori in diversi paesi: Philip Di Salvo (Università della Svizzera italiana, Svizzera), Tobias Eberwein Institute for Comparative Media and Communication Studies, Austria), Harmen Groenhart (Fontys University of Applied Sciences, Olanda), Michal Kus (University of Wroclaw, Polonia), Colin Porlezza (University of Zurich, Svizzera) e chi scrive (Università degli Studi di Milano, Italia).
Da un punto di vista accademico, ci sono già diversi approcci con cui affrontare il data journalism e tra le questioni più interessanti da esplorare ci sono certamente quelle che riguardano le scelte etiche e le conseguenze epistemologiche coinvolte nelle pratiche del giornalismo dei dati. La nostra ricerca risponde a queste due domande in modo indiretto: per poter analizzare quelle sfide etiche e quelle conseguenze epistemologiche, infatti, è necessario comprendere anche come il data journalism venga insegnato. La formazione al data journalism, per come ora è inteso, è inevitabilmente una disciplina molto giovane e che deve insegnare competenze diverse rispetto a quelle del giornalismo tradizionale: la programmazione e la data visualization nell’attuale era digitale, ad esempio, sono pratiche differenti rispetto a quelle che erano comuni in passato. È proprio per questa natura diversa dei dati che il data journalism contemporaneo riguarda necessariamente alcuni temi fondamentali come l’etica, la trasparenza e l’accountability.
La nostra ricerca esplora comparativamente la formazione al data journalism in sei paesi (Germania, Svizzera, Olanda, Italia, Polonia e Regno Unito). La ricerca è stata svolta con una desk analysis dei corsi disponibili e attraverso interviste compiute a chi insegna in questi corsi. I risultati possono essere restituiti focalizzandosi da una parte sulle differenze tra i corsi nei diversi paesi e, dall’altra su ciò che li accomuna.
All’interno dei contesti analizzati, i corsi sono offerti di norma da quattro tipi diversi di organizzazioni: accademiche, vocazionali, professionali e civiche, tutte presenti in ogni paese. Allo stesso tempo, l’influenza esercitata dalle diverse organizzazioni dipende molto dai sistemi dei media e dalla culture giornalistiche prese in considerazione. In altre parole, abbiamo riscontrato che se nel suo complesso l’educazione giornalistica è più istituzionalizzata, allora lo è anche l’offerta di data journalism. Dove i programmi formativi in giornalismo sono invece rari e meno competitivi, le forme innovative di reporting come il data journalism sono insegnate raramente e la formazione dei docenti è più eterogenea. Nel Regno Unito, ad esempio, chi insegna giornalismo dei dati ha di norma alle spalle una formazione accademica e i corsi di data journalism hanno luogo nelle scuole di giornalismo. All’opposto, in Italia ci sono diversi corsi di data journalism ma questi seguono traiettorie difficilmente prevedibili, essendo proposti da organizzazioni di diversa nature come, per esempio, il Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione o organizzazioni no profit.
In questo contesto, è interessante osservare le strutture dei singoli corsi. Ci sono almeno due aree fondamentali in cui è possibile studiare i curricula di data journalism: 1) contenuti pratici vs. teorici e (2) competenze statistiche vs. competenze giornalistiche. La nostra ricerca sottolinea come i corsi universitari siano generalmente fondati su un approccio più olistico, mentre altri tipi di corsi, offerti ad esempio dalle stesse aziende mediatiche o altre istituzioni private, si focalizzano invece di più sulle competenze pratiche come la raccolta dei dati, la loro elaborazione, l’analisi e la presentazione. Quando si tratta del bilanciamento tra competenze statistiche e giornalistiche, invece, la situazione è facilmente comparabile: nei corsi più lunghi, soprattutto ai livelli di formazione più alta, il focus è normalmente più sugli argomenti statistici, perché i temi prettamente giornalistici sono affrontati già altrove. I corsi più brevi o i workshop, al contrario, cercano di combinare i due ambiti, dato che possono fornire solamente delle nozioni condensate.
Queste differenze, infine, prospettano anche risposte diverse alle sollecitazioni etiche ed epistemologiche cui accennavamo all’inizio. Dove i programmi formativi sono ben inseriti nella formazione giornalistica complessiva, l’approccio data-driven è considerato come un modo diverso e aggiuntivo di affrontare le questioni giornalistiche più tradizionali e come uno strumento per affrontare questioni giornalistiche fondamentali. In questa impostazione, i principi che devono guidare questo tipo di giornalismo rimandano a quelli più tradizionali, accuratezza, trasparenza e accountability. I dati vengono trattati e considerati come “fatti”. Dove, invece, altri tipi di istituzioni prevalgono nell’educazione al data journalism, come è nel caso italiano, lo strumento del data journalism viene impostato come più estraneo all’etica giornalistica comunemente intesa: questo significa, ad esempio, che possono prevalere altre guideline etiche, più attiviste e più di parte.
Come detto in precedenza, oltre alle differenze, vi sono però anche dei punti in comune nel modo in cui il data journalism viene insegnato in Europa. Ad esempio, le istituzioni non accademiche (come l’European Journalism Center) e testate internazionali come il Guardian, il New York Times e ProPublica hanno una posizione di leadership in tutti i paesi analizzati. Inoltre, nello svolgimento della ricerca abbiano riscontrato anche come vi sia molto materiale didattico disponibile online, soprattutto perché molti dei docenti sono particolarmente inclini a condividere quello che fanno.
In conclusione, per provare a prevedere il futuro del data journalism e del suo insegnamento, è importante notare come i fattori contestuali giocheranno inevitabilmente un ruolo importante. Dato che il data journalism è mediamente una pratica più costosa di altre, l’aspetto economico sarà cruciale. Allo stesso tempo, anche la mole di dati disponibili sarà preponderante, soprattutto nei termini dell’esistenza di una legislazione Foia efficiente. Detto questo, il nostro studio dimostra come le istituzioni formative di diverso livelli stiano abbracciando il data journalism, forse lentamente, ma certamente in modo sempre più crescente.
Il paper “Educational strategies in data journalism: A comparative study of six European countries” è disponibile qui
Due autori della ricerca trattata nell’articolo, Philip Di Salvo e Michal Kus, sono allo stesso tempo membri dello staff dell’Osservatorio europeo di giornalismo
Tags:data journalism, Data Journalism Awards, formazione giornalistica, giornalismo investigativo, Journalism, ricerca sui media, Università, Università degli Studi di Milano